L’orientamento sessuale e l’identità di genere: supporto psicologico
Per poter parlare di identità di genere occorre in primo luogo fare chiarezza sull’uso di alcuni termini.
Con il termine sesso ci si riferisce alla semplice appartenenza ad una categoria biologica e genetica (maschio/femmina). Il termine genere ha invece una connotazione sociale e culturale. Quando il bambino cresce impara che certi suoi comportamenti e atteggiamenti sono più appropriati al proprio sesso biologico e altri no, e cerca di adeguarsi al modello maschile o femminile che è ritenuto accettabile nella società e nell’epoca storica in cui vive. Una persona nasce maschio o femmina, ma lo status di uomo o donna è il risultato dell’intreccio tra il suo sentirsi appartenente ad un genere e i modelli socio-culturali in cui vive. Con il termine identità di genere ci si riferisce al senso soggettivo di appartenenza alle categorie maschio/femmina, ovvero alla percezione di sé come maschio o come femmina.
Solitamente vi è una corrispondenza tra sesso biologico e identità di genere di un individuo. Le bambine tendono ad identificarsi con gli aspetti femminili delle proprie madri e a riconoscersi come donne, come tendenzialmente i bambini si identificano con gli aspetti mascolini del padre e si riconoscono come uomini.
Tuttavia, in alcune circostanze, può accadere che non ci sia corrispondenza tra la percezione di sé come maschio o femmina, ovvero l’identità di genere e il sesso biologico di nascita. È il caso per esempio delle persone transgender che travalicano ruoli, aspettative e atteggiamenti legati al proprio genere, pur mantenendo inalterato il proprio sesso biologico. A differenza della persona transgender, la persona transessuale non solo percepisce la propria identità di genere come non corrispondente al proprio sesso biologico, e assume ruoli e atteggiamenti legati al sesso opposto, ma attua anche, o si propone di attuare, interventi ormonali e/o chirurgici per adeguare il proprio aspetto fisico a come si sente di essere psicologicamente e questo vale tanto per gli uomini biologici tanto per le donne biologiche.
Diverso è parlare di orientamento sessuale, che sta ad indicare l’attrazione sessuale e affettiva verso persone del sesso opposto (eterosessualità), dello stesso sesso (omosessualità) o entrambi (bisessualità).
Una persona con orientamento sessuale omosessuale non mette in discussione il senso soggettivo di appartenere al proprio genere. Una donna omosessuale si riconosce perfettamente nel suo corpo di donna e prova attrazione fisica e mentale verso altre donne.
L’omosessualità è considerata all’interno della comunità scientifica come una normale variante della sessualità umana, per cui qualunque tipo di “cura” ripartiva o di ri-orientamento che può essere proposta, si basa sulla non legalità e sulla non scientificità.
Ciò nonostante, le persone omosessuali spesso vanno incontro ad una serie di esperienze negative ed emotivamente dolorose che squalificano la propria persona. Si parla infatti di omofobia intesa come avversione o svalutazione nei confronti delle persone omosessuali manifestata attraverso un linguaggio offensivo o vere e proprie discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale. A volte può sfociare in condotte violente e fisicamente aggressive.
Tutto ciò può causare stress emotivo, disagio e profonda sofferenza nella persona omosessuale che rischia di fare proprio il pregiudizio altrui, interiorizzandolo. L’omofobia interiorizzata è infatti l’insieme di sentimenti negativi che una persona può provare in maniera più o meno consapevole nei confronti della propria omosessualità e che comportano una scarsa accettazione di sé, bassa autostima e sentimenti di inferiorità e vergogna. La famiglia, gli amici, il contesto scolastico, lavorativo e sociale in generale svolgono un ruolo fondamentale nel prevenire o nel contribuire a questa sofferenza.